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Curiosità

Come Eravamo Anziani

Nei giorni della pandemia ho ascoltato i lai di chi non resisteva nel sentirsi condizionato ad una serrata inattività dagli imperativi governativi. Ed ho visto le smanie di coloro che rompevano gli argini sanitari sentendosi dei ribelli, magari degli eroi. Ci vuol altro, carimiei!

E poi, ogni eroe è partigiano della propria contrada. Chi m’assicura che sia dalla parte giusta, che ovviamente è, e sempre sarà, la mia?

Poco cale delle ragioni altrui quando sbattono contro le nostre. Dico male?

Qualcosa di nuovo Qualcosa di antico

Non so che effetto abbia avuto su di voi, amici della terza e quarta età, il periodo di clausura. Io ho trovato qualcosa di sgradevole nel dilagare delle polemiche. Ma anche sensazioni che la mia infanzia conosceva bene.

Se vi attardate nella totale solitudine di richiami, di rumori, non sentite anche voi come tirano quei fili che ci collegano agli anni del dopoguerra?

Anni cinquanta

Oggi viviamo In un contesto sociale che muta di continuo, ma negli anni cinquanta la vita delle città era elementare, semplice.

Nelle ore lavorative le strade erano quasi deserte, e non a causa di un virus pellegrino. Ogni mattina scambiavano saluti frettolosi le donne con la sporta della spesa sotto il braccio.

Passava il postino a cavallo della bicicletta. Il suo mestiere non era solo quello di consegnare le bollette. Oggi è temuto, allora era atteso, ché si usava scrivere, e parecchio, quando non c’era whatsapp.

Capitava a scadenze fisse il grido: ‘Donne, c’è l’arrotino. Riparo coltelli e ombrelli.’

Nel pomeriggio, liberi dal doposcuola, i ragazzini gareggiavano con le biglie, noi bambinucce si saltava sulla corda o sui quadri disegnati col gesso in mezzo alla strada. Rari erano gli uomini che passavano fuori dall’orario di lavoro.

Rarissime le auto.

Fatti di casa nostra

I politici si davano un gran daffare per rimediare ai guai di una nazione distrutta dai vecchi e nuovi alleati. Le loro liti furibonde erano vissute consfiduciati scotimenti di testa o con speranzosa partecipazione.

Dovevano essere sanate in qualche modo le contraddizioni tra ciò che la gente aveva creduto di essere e ciò che si trovava a non essere, dopo un’indimenticabile carneficina di uomini, onori, fiducia che voleva essere dimenticata.

Come avrebbe potuto reimparare a respirare, a ricostruire il presente?

Il risveglio

In tanto lindore di bisogni, i buoni sentimenti emergevano con pudore e mosse pacate; quelli peggiori sfogavano le lische lasciate dal conflitto mondiale lapidando le faccende dei propri simili con un’ironia che sconfinava nel sarcasmo.

Sbirciare nelle casa d’altri sostituiva con favore i terribili spettacoli che avevano avuto corso fino a qualche anno prima e anticipava la smania collettiva per le serie televisive.

Cose d’altri tempi

Gli oggetti d’uso comune erano costruiti per durare e dovevamo tenerli ‘da conto.’ Si leggevano e rileggevano i libri che avevamo a disposizione, perché acquistarli era una piccole conquista che doveva soggiacere a questioni di priorità.

Un’impresa far quadrare la spesa annuale per le scarpe, i cappotti. E calcolato con matematica precisione era il denaro da riservare alla quindicina d’agosto. Negli anni di ‘magra’ andavamo nelle belle montagne pistoiesi. A Castiglioncello e perfino a Viareggio quando si poteva scialare.

Tappe fondamentali

Furono tappe fondamentali il frigorifero e il telefono, duplex, attaccato alla parete.

Fino all’avvento della lavatrice, le lenzuola venivano a prenderle e le riportavano piegate e profumate.

La televisione, che mio padre chiamava ‘l’acchiappacitrulli’, non era gradita. Entrò tardi in casa nostra e solo perché ci fu regalata.

Lessico familiare

Così Natalia Ginsburg chiamava le abitudini che l’avevano cresciuta.

Anche da noi girava un lessico di riconoscimento.

Il fischio di famiglia, per esempio. Lo udivo sottocasa e sapevo che mio padre, impiegato alle ferrovie, era tornato dal lavoro. E poi c’era la passione per l’ippica che accomunava quasi tutti, in un modo o in un altro. Dico quasi perché io diffidavo dei cavalli, dopo un paio di malaccorti contatti troppo ravvicinati.

Cose quodidiane

Nella mia prima giovinezza l’immaginazione aveva pochi supporti. Era così avulsa dalle incombenze quotidiane che sgorgava nel torpore che preludeva al sonno fino a mescolarsi con la realtà. Ci ho messo del tempo per distinguerle.

Sono arrivata tardi in famiglia, e inopportuna.Comunicavo al mio livello con un paio di cugini; altrimenti mi rifugiavo tra i giornalini a fumetti. Nella bella stagione stazionavano sotto la tenda para-indiana del terrazzo, costituita da una rustica coperta marcata FFSS (Ferrovie dello Stato), attaccata al gancio che sosteneva il filo per tendere la biancheria.

Sorridevo, non ridevo, delle avventure di Paperino, Topolino e compagni. Troppo facile riconoscere nei loro comportamenti, delle caratteristiche assai diffuse.

Gli intrepidi

Chi, tra coloro che oggi fanno parte della terza età, quelli della quarta avevano già altri interessi, non ha ingurgitatoa palate le avvincenti imprese di personaggi che erano davvero esistiti, come Buffalo Bill e Calamity Jane?

E Kid Carson? E Liberty Kid?

Quelle ricalcate dipoi da Tex Willer ci facevano un baffo!

Salgàri o Sàlgari?

Ho scoperto che si pronuncia Salgàri.

Un amico ha potuto appurare, cercando su enciclopedie, internet, depliants di guide turistiche, che i luoghi da lui rappresentati nei romanzi corrispondevano alle sue descrizioni. Erano realistiche le nozioni su paesaggi mai visitati da questo autore per ragazzi che alla fine dell’ottocento scriveva chiuso nella sua città.

Vero che passava giornate intere nelle biblioteche pubbliche. E vorrei vedere!

Qualcuno ha scritto che se fosse nato in altri paesi sarebbe stato maggiormente considerato. Ma si sa, da noi vige lo snobbismo che nega a molti autori il posto che meritano nel ricordo dei posteri.

Alle solite sto divagando….

Veniamo a noi

Mulinare le chete memorie del passato, impastarle con le zavorre del chiassoso, colorato presente che ne è seguito, è una sorta di rituale propiziatorio per esorcizzare vecchie paure che non sono completamente addomesticate.

E forse aiuta ad affrontare le incognite di un futuro aperto a cataclismi di varia specie, ma sicuramentei più sgradevoli di qualche giorno di clausura.

Uggiosa retorica?

Detto tra noi, non vorrei essere accusata di inciampare nelle retoriche imperanti, io che le ho sempre detestate, insieme a tutto ciò che è manierato fino a diventare patetico.

Però mi chiedo se non avesse ragione Heidegger quando sosteneva che ‘Solo il cammino a ritroso ci farà progredire.’

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