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Salute

Farmaci per il trattamento dell’obesità Anziani

Esistono dei farmaci studiati appositamente per il trattamento dell’obesità: nelle persone anziane. Questi medicinali sono testati e in grado di produrre modificazioni positive, però possono essere acquistati solo con una prescrizione medica. Vanno somministrati sotto il controllo del proprio medico, in considerazione di possibili effetti collaterali.

Si tratta di sostanze capaci di inibire i fattori scatanenati il grasso corporeo, come la serotonina, l’adrenalina, la dopamina, causando il senso di sazietà e la termogenesi.

Controllando l’apporto di alimenti ingeriti, questi inibitori, selettivi della lipasi pancreatica, possono ridurre notevolmente l’assorbimento dei grassi.

Persone anziane che rifiutano le cure.

Ci sono alcuni anziani che non vogliono essere curati, sebbene siano in grado di intendere e volere. Sono persone abituate ad aiutare la famiglia con buona lena. Possono cucinare, pulire la casa, accudire i nipoti e tante altre cose, ma diventano recalcitranti e ostili quando devono andare dal medico.

Perché alcuni anziani non si prendono cura di se stessi?

Raggiunta la vecchiaia sopraggiungono dei limiti fisici e più l’età avanza, maggiori sono le ripercussioni nel nostro corpo. Tutti questi cambiamenti possono creare disagi psicologici ed emotivi che si ripercuotono nel rifiuto di farsi curare.

Tutti dobbiamo adeguarci alle mutate possibilità di movimento, quando si invecchia, ma per molte persone è difficile accettare di sentirsi inutili e in condizione di inferiorità

Affrontare queste situazioni può rendere una persona malata irritabile ed aggressiva, fino al punto di isolarsi dai propri cari.

Cosa dobbiamo fare aiutarli?

Quando gli anziani hanno bisogno del nostro aiuto, la soluzione migliore è facilitare la loro vita quotidiana. Qualche volta può essere indispensabile ricorrere all’assistenza esterna per essere supportati nell’affrontare i loro bisogni; tuttavia, molti pazienti che necessitano di cure, quando vedono che sarà una persona estranea ad occuparsi di loro, non vogliono accettare il suo aiuto.

Convincere queste persone a lasciarsi curare non è facile. La situazione è molto delicata e la chiave per affrontarla sta nell’affetto, nell’empatia e nella comprensione .

Poiché ogni persona è un mondo completamente diverso, per determinare il tipo di aiuto di cui il nostro familiare ha bisogno, dobbiamo distinguere in quale categoria rientra la sua patologia.

-Pazienti che non sono malati ma hanno bisogno di compagnia.

Queste persone soffrono di una patologia psicologica che richiede supporti da seguire giorno per giorno.

-Pazienti che soffrono di una malattia che ha compromesso le capacità cognitive.

Conoscere lo stato di salute di queste persone permette ci decidere se sia preferibile curarli nella propria casa oppure sistemarli in una residenza per anziani.

Bisogna tenere conto che l’ Alzheimer , il Parkinson, i disturbi del sonno ed altre patologie richiedono l’assistenza di un operatore sanitario che aiuti a migliorare lo stato fisico, cognitivo ed emotivo.

La comunicazione con gli anziani

Quando si tratta di curare un paziente dobbiamo prendere in considerazione la sua opinione. Il dialogo con un membro della famiglia può essere difficile, ma dobbiamo impegnarci nell’ascolto attivo per capire come aiutare questa persona per evitare che si senta abbandonato, indifeso, arrabbiato o triste.

Dobbiamo imparare a comunicare in un modo o nell’altro, nel rispetto dello stato di salute della persona di cui prendersi cura.

È bene essere consapevoli del fatto che un anziano può tentare di manipolare la famiglia per farla sentire in qualche modo colpevole. In questi casi la soluzione migliore è che la conversazione si svolga con una sola persona per volta.

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Curiosità

Bestiario privato

Anche qui ci vuole un cappello d’apertura.

Userò i termini bestia o bestiola, sebbene suonino dispregiativi, per un semplice motivo che tutti sanno ma pochi ricordano, e cioè che anche noi apparteniamo al regno animale.

Dovevo pur distinguerci, in qualche modo.

Partiamo dal principio

Si usa dire che ci sono individui con una doppia personalità.

Il fatto è che tutti siamo dotati di due, tre, e chissà quante tendenze caratteriali, Alcune sono in mostra; altre non hanno trovato la strada per uscire e stanno solo aspettando il loro turno.

È riduttivo addossare atteggiamenti e convinzioni solo all’influenza dell’ambiente e le contingenze esterne, poiché possono derivare da fattori più… come dire, privati.

Troviamo diversità comportamentali nelle bestie della stessa specie, a causa della famiglia di provenienza o del trattamento che ricevono.

Noi, però, disponiamo di un enorme bagaglio di pertinenze, dissimili le une dalle altre, che dobbiamo a istinti provenienti da vari animali.

Ci sarebbe da chiedersi quante e quali porzioni di identità ospitiamo, dopo millenni di convivenza.

Bestie che siamo

Infatti, se cerchiamo le similitudini che ci accomunano ai nostri parenti di peli e piume, scopriamo che ce n’è più di una. Non per nulla abbiamo l’abitudine di raffrontare vizi e qualità umane con le loro caratteristiche.

Di esempi ne troviamo a bizzeffe.

Scontroso come un orso, cieco come una talpa, operoso come una formica, lento come una lumaca, Mangione o sudicio o altri vizi ed ecco il porco.

E c’è il popolo bue, l’umano gregge….

Mi fermo qui, ma potrei continuare a lungo.

Che vi piaccia o no, così è per tutti. Ed è così anche se non vi pare.

Mondo plurimo

Si dice che gli esseri umani siano gli ultimi abitanti della terra. Ma se è vero che gli ultimi la erediteranno, si allude proprio a noi?

Va da sè che vi operassero multiformi energie quando siamo arrivati. Se ogni cosa della natura contiene in sé forma e sostanza, forse nell’uomo è stato buttato un miscuglio di componenti da qualche buontempone, giusto per scoprire quale razza spuria ne venisse fuori.

Vediamo com’è andata: una fettina di scimpanzé, uno sguincio di delfino, una lacrima di pantera, coccodrillo quanto basta?

Gli ingredienti precisi non li sappiamo e così le dosi, ma è certo che ne è nata un’accozzaglia infinta di possibilità. Ecco perché ciascuno di noi è fatto a modo suo.

Retaggio

Chiunque fosse il demiurgo, ha influsso nel nostro retaggio animale una scintilla che ancora ci assiste, malgrado le nostre incongruenze. Ecco perché ci possiamo infognare nella bestialità più infima e salire fino ad immaginare quel residente in altri cieli, altri pianeti, che ha fatto una capatina qui per compiere degli esperimenti.

Sì, deve essere andata proprio così. O è accaduto il contrario?

Non sarà che siamo dei clandestini naturalizzati terrestri?

Bestiario privato

Come in tutti gli esseri umani, anche in me ci sono delle peculiarità.

Da giovane, il contrastante bisogno di distacco e protezione mi faceva sentire come un gatto nascosto sotto il guscio di una lumaca.

Non si trattava solo di bestiole sedentarie, cresciute in una cattività domestica. C’erano altri richiami da sottofondi inesplorati. Da uno di questi cunicoli giungeva il musicale vocio degli uccelli che svolazzano nelle paludi. Da un altro si poteva udire il lento ronfare di un’orsetta sonnacchiosa.

Ben separata, un’aquila attendeva nel suo giaciglio.

Che connubio!

Nel tempo della massima energia solare, la necessità di spingermi nell’arena tra i lupi e le tigri ha aperto ignoti istinti corrazzati per l’autodifesa. Il carapace si è indurito ed il gatto ne è uscito per accendersi con sprazzi di leonità, mentre l’orsa musona ha mostrato quanto poco gradisca d’esser disturbata.

E c’è stato il controcanto dell’aquila, libera di volare sopra foreste di intenzioni umane. Se l’avessi tenuta ancora accovacciata, forse avrebbe tentato di mangiarmi il fegato.

Divagando

Fortuna che questo organo si ricrea, come sapevano gli antichi. Essì, altrimenti, come avrebbe potuto realizzarsi il mito di Prometeo, il titano che frequentava la rarissima, abitudine di pensare prima di agire?

Diciamo che se il fuoco era inteso come calore, già che c’era lo poteva distribuire meglio. A sua giustificazione si può prevedere l’ipotesi che non abbia fatto in tempo a rifinire il lavoro. E se fosse stato lui a spargere la scintilla che ci contraddistingue?

Io la butto lì, tirate voi le congetture.

A proposito del fegato, non dimentichiamo l’etrusca mania di studiarvi gli umani destini. Sospetto che le genti antiche avessero conoscenze maggiori di quelle che hanno tramandato. Chissà dove le hanno nascoste. Temevano per il loro fegato?

Torniamo a noi

Nel tempo dei riepiloghi sono tornata ad affamigliarmi con bestiole casarecce.

Oggi sono una placida tartaruga della terza, quasi quarta età, ramenga per le vie di casa e del cortile, ma non ho rinunciato a tutelare la mia zona di pertinenza.

Va detto che ha preso campo l’uccello bisognoso del respiro delle paludi. Ed è per consentirgli di circumnavigare tra terra acqua e cielo, cioè, tra cervello, memoria e pensieri che vivo come una tartaruga e mi comporto da orsa, come si evince dal mio psedudonimo.

La cosa migliore è lasciare appisolato questo residuo di aggressività. Quando si è preteso di farmi arresa ha sempre reagito in maniera spropositata.

Come dire: voi suonate le vostre trombe, io suono il mio martello.

L’aquila azzarda ancora il libero volo e qualche volta ci riesce. È una meraviglia osservare dall’alto le diramazioni delle prospettive umane. Queste ricognizioni non cambiano le cause che hanno partorito i nostri affanni, però aumentano la consapevolezza di come si vorrebbe far girare il mondo. Vi pare poco?

È così che mi piace stare.

È bello andare a spasso tra le paludi della memoria, protetti e irrobustiti dalle esperienze passate, ma è ancora più bello essere capaci di volare con ali libere.

Somiglianze

Dopo tutto ‘sto panegirico, almeno noi della terza e quarta età dovremmo aver capito che non siamo solo angeli o solo demoni. Siamo molto di più.

A questo punto una miriade di domande ribolle fino a venire a galla.

Se non conosciamo lo zibaldone che ci abita, come possiamo gestire noi stessi?

Come possiamo sapere come hanno avuto corso le nostre scelte?

Ci sarebbe da riflettere. Altro che libero arbitrio!

C’è tanta roba incognita dentro di noi, ma per conoscerla dobbiamo accettare il bestiario che scorrazza a suo piacimento quando meno te l’aspetti e non sempre ti dà il tempo di rimediare.

Viene il sospetto che se ci mangiamo qualche coscia di pollo ce la siamo guadagnata.

Zoologia fantastica

Prima di chiudere dovremmo buttare un occhio o due su quegli animali fantastici che sintetizzano le varie tipologie umane.

Nel Manuale di zoologia fantastica di Borges si apprende l’esistenza di chimeriche mangiatrici di propositi su cui scherzava Rabelais. Mi chiedo in quanti di noi si specchino i simurg, gli uccelli immortali che nidificano sull’albero dei semi di conoscenza. Sempre che trovino qualcosa da specchiare.

In me ha fatto sicuramente il nido la scimmia dell’inchiostro.

Guardatevi in giro.

E voi, avete mai provato a scovare gli animali che circoscrivono l’area dei vostri bisogni, del vostro sentire e fare? Non volete sapere a quali specie rassomigliate? Non vi accontentate di studiare i comportamenti di cani e gatti. C’è molto altro da scoprire. Andate al giardino zoologico. Guardate come si muovono, agiscono, reagiscono, i nostri lontani antenati, ancora tanto vicini.

Vi capiterà di ritrovare i comportamenti di questo o quel conoscente. E potreste scoprire proprietà di cui vantarsi ed altre che sarebbe conveniente tenere accucciate. Fino a prova contraria.

Un augurio

Intorno a noi vi sono bestiole che mostrano una grande capacità sentimenti, come l’amore, la gratitudine, ed una dedizione fino al sacrificio.

L’augurio migliore che io possa darvi è di far parte di una famiglia che ha in sé il pellicano e l’upupa.

Il primo nutre la prole col suo sangue, il secondo cura il genitore fino a rendergli la gioventù.

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Curiosità

C’era una volta…

C’era una volta una bambina, una principessa, una fata, una strega, un re, un eroe, un orco, un diavolo.

Così iniziano le ripetizioni orali di storie tramandate da cantori tribali, burattinai, pellegrini, contastorie. Il loro novellare allietava le lunghe serate intorno al fuoco, pagava l’ospitalità in villaggi e castelle, le feste del patrono ed altre ricorrenze religiose. Col tempo la storia si arricchiva di nuovi episodi, secondo l’estro narrante, per compiacere coloro che l’ascoltavano per la decima volta.

Le fiabe di una volta finivano, nella maggioranza dei casi, e specialmente quelle da ‘femmine’, col principe che baciava la giovincella in balia di forze avverse. Poi seguiva il doveroso matrimonio e tutti erano felici e contenti. Mah….

Tanto per chiarirsi

Io ho sempre visto Cenerentola come un’opportunista, disposta a tutto pur di sposare il miglior partito del paese. Per ingraziarsi le platee, nel film ‘La leggenda di un amore’ si rimedia questa novella tanto usurata volando di striscio sull’Utopia di Thomas More fino ad inserire un cameo di tutto riguardo. Lucido il regista!

‘Con la gentile partecipazione di Leonardo da Vinci.’ Ecco cosa doveva aggiungere all’elenco degli attori.

Una fiaba vera

Oggi voglio raccontare la storia vera di una giovane coppia che conobbi molti anni fa a Positano.

Qui occorre un antefatto, tanto per cambiare.

Accadde in un periodo cruciale. La nostra società, uscita da una ventina di anni dal dopoguerra, era ancora patriarcale quando si aggregò ai fatidici, discutissimi, oggi famigerati, anni settanta. Si poteva condividere in molti modi la grande rivoluzione sociale e culturale che proveniva dalla Francia ed aveva già invaso l’Inghilterra e gli Stati Uniti, in special modo la California, prima di arrivare da noi.

Una ventata energetica

La mia adesione ad alcuni aspetti di questa ventata energeticanonpoggiava solo sulle civilissime modifiche. Per anni mi ero chiesta come potessi affrancarmii da un contesto che non mi corrispondevaCredo sia difficile spiegare quanto mi sembrassero meschine e soffocanti le strettoie che stagnavano fuori dalla porta di casa. Non vi trovavo finestre mentali che potessero aprirsi al dialogo, alle arti, alla fantasia, come accadeva nella mia famiglia.

Ecco perché fui attratta dal nuovo modo di pensare. Sentivo quella grande risorsa umana che chiamiamo immaginazione, vibrare per la prima volta anche al di là dei confini familiari. Il nuovo corso restituiva corpo, spessore, sostanza a parti di me che sentivo confuse. Mi riconoscevo in alcuni di quei fermenti ed ero curiosa di scoprire il senso delle manifestazioni, giuste, sbagliate, vere, falsificate, che hanno femminilizzato il mondo occidentale.

Conobbi personalità ariose, dal respiro sciolto. Quelle più affini a me erano votate all’arte. altre alla politica. Qualcuno scavalcava i propri limiti senza conoscerne il costo in anticipo…

Amati Beatles

Capita che mi chieda quanti anni avrebbe oggi Michelle ed a quanti yesterday continuerò a far riferimento, insieme alla memoria di stagioni faticose, esaltanti, amare, succose….

Qui mi fermo. Sto divagando e chiedo venia. Alle solite mi sono fatta prendere la mano, il polso, ognicosa dall’antefatto. O non si sa che le digressioni e gli scantonamenti sono il mio pane quotidiano?

Ho accennato a quella stagione di mutamenti per tentare di spiegare, e magari trasmettere, la fascinazione che una coppia esistenzialista ed hippy ebbe su di me.

Anche la loro conoscenza faceva parte dei segni apparentemente eccentrici, ma liberatori, che io chiamo l’arte del vivere.

Positano

Non ero ancora sposata la prima volta che vidi Positano.

La leggenda narra che il suo fondatore, il dio Poseidone, la donasse alla ninfa Pasitea. Il dono di un dio, dunque. Infatti, non si può immaginare cosa fosse quel lido incantato, perla della costa amalfitana, cinquant’anni fa. Pochi erano allora i caseggiati, nell’indisturbata, lussureggiante, espansione vegetale.

Passeggiare su e giù per le infinite scale, coperte da pergole di enormi tralci rampicanti di clematide e bouganville, mi faceva sentire come fossi calata dentro una tela preraffaellita. Nelle piazzette senza riparo, esplodeva il sole rovente che giustificava il corpo protetto dal cappello di paglia e gli abiti lunghi e coloratissimi che arrivavano fino ai sandali di cuoio, nella cui fabbricazione gli artigiani di quelle zone sono maestri.

Tu chiamale se vuoi….

S’intende che si può vivere poeticamente dovunque. È suffuciente scoprire bellezze antiche che la memoria tramanda senza rendertene partecipe, fino a quando non le hai davanti. E quanto può essere appagante il respiro sciolto nel danzare in armonia con la natura, in maniera talmente palpabile e coinvolgente da resuscitare particelle vibranti di vita che non sapevi di avere.

Una sera ci recammo con alcuni amici a ballare all’Africana di Praiano, un locale splendido ricavato tra mare e rocce. Accanto a noi venne a sedere Audrey Hepburn, attrice allora molto in voga.

Una bellissima coppia iniziò a danzare. Eravamo tutti incantati. Lei era alta, pallida, sottile, gli occhi chiari nel volto scortato da lunghissimi riccioli rossi. Anche lui era alto e magro, capelli e baffi lunghi e neri.

Il giorno dopo scendemmo dall’albergo e incontrammo di nuovo l’attrice fuori da una deliziosa boutique che vendeva gli abiti zingareschi, caratteristici del posto, che anch’io amavo e portavo.

In paese tutti conoscevano la storia della coppia che mi aveva incuriosita la sera prima. Erano arrivati lì in una fuga d’amore che si era protratta nel tempo. Lei si chiamava Vally e veniva da una fattoria australiana, prima di esibirsi a Parigi come ballerina. Lui, Rudy, aveva frequentato la facoltà di architettura. Erano esistenzialisti della scuola di Sartre, che avevano conosciuto, e pure hippy, anticipando la voga successiva. Abitavano in cima al Montepertuso, in una casupola diruta circondata da animali. Personalità internazionali dell’arte e dello spettacolo venivano a trovarli.

Nelle successive vacanze a Positano scoprii che le autorità avevano tentato più volte e senza successo di allontanare quella coppia originale che osava vivere come la maggior parte della gente, prima della guerra; e ancora chissà quanti erano obbligati ad un’esistenza ai minimi termini! Il fatto era che qui si trattava di una libera scelta. Come osavano, i due impuniti, professare gli insegnamenti di filosofi come Rousseau e Thoreau, in un’epoca che voleva e doveva dimenticare l’antenata povertà?

Restarono ancora per molti anni. La casupola che Rudy aveva reso abitabile, secondo cosiderazioni un po’ primitive, disponeva di un regolare contratto d’affitto dal 1957 ed il canone annuo era stato regolarmente pagato.

E tanto per tornare alle fiabe che tutti raccontano ai bambini, com’è che nessuno si scandalizza se Biancaneve viveva in mezzo ad un bosco, priva di servizi igienici ed insieme a sette nani minatori?

Le cose cambiano

Dopo la separazione Positano rimase il luogo di vacanze preferito dal mio ex marito, che ogni estate vi portava i nostri figli. Io tornai solo una volta, poi mi recai per due anni ad Ischia, meno bella ma più magica, almeno per me. Un estate feci un corso dal Baba Bedi, ma questa è un’altra storia. Qualche visita estiva sulla Costa Brava, dove mia sorella aveva una casa, poi, vivendo sola, finirono le vacanze per non abbandonare il gatto/a di turno.

Non ho dimenticato quella coppia perché, lo confesso, avrei provato volentieri a vivere quel tipo di vita primitiva, anche se non so quanto sarebbe durata.

Chi può dire se fosse peggiore di questa, tanto ordinata e civile, che sta distruggendo la Terra? Per non parlare degli effetti futuri delle soluzioni ecologiche. Auto elettriche, impianti fotovoltaici ed eolici necessitano di elementi indispensabili, come litio cobalto indio argento platino ed altre materie prime che rimediano ai guai provocati dai precedenti combustibili fossili con altri danni.

Basta leggere l’articolo che Benjamin Sovacool ha scritto su ‘Scienze’.

Si può obiettare che oggi si vive più a lungo, quando non intervengono virus che, diciamolo, hanno rinsaldato le finanze di qualche ente pubblico. Però, viene fuori che se ci ostiniamo a campare fino a 90/100 anni, tra qualche decennio saranno troppi i vecchi da mantenere.

Insomma, qui come ti muovi fai danni…

Razzolando su Internet

L’onor di verità impone un’aggiunta.

Stavo per concludere la storia di Vally e Rudy quando ho pensato che avrei dovuto cercare su internet per sapere com’è finita la loro vicenda.

E cosi ho scoperto che Vally era nata uomo ed ho visto alcune foto del film dove era costretta ad evocare con terribili immagini la peggiore strega della peggiore fiaba, sicuramente voluta dal regista, sicuramente da proibire al di sotto dei quattordici anni.

Sarà. A me resta il ricordo della bellissima figura che danzava in modo meraviglioso all’Africana di Praiano. Il volto solare, radioso, femmineo, non aveva niente di virile e tantomeno qualcosa che potesse rassembrare una strega, come si è voluto per far spettacolo.

E ora cosa faccio?

Ero incerta se andare avanti, poi ho pensato che questa è davvero una fiaba moderna. Una storia romantica che smita miti e pregiudizi.

Ecco cosa ha scritto Vally prima di morire, in Australia, nel suo paese, a settandue anni:

‘….tu vieni nel mondo e poi vai….. quando hai vissuto come ho fatto io, hai fatto tutto….’

Chiedo il sostegno di amati scrittori

Secondo Oscar Wilde, la gente vuole essere nutrita, divertita o scandalizzata. E lui ne sapeva qualcosa! Si potrebbe dire che vuol essere informata, ma forse è compresa nel nutrirla, oppure che conviene ignorarla, quando si scandalizza.

A sostegno della mia impudenza, riferisco un frase che ho trovato nel romanzo: ‘Il Canto delle sirene’ di Maria Corti.

‘….e non preoccupiamoci se la storia è diversa da come fu raccontata la prima volta; essa non smetterà mai di cambiare faccia col passare del tempo.’

Il riferimento era alla Storia con la maiuscola. Ma poco cambia quando passiamo dal generale al particolare, non è vero? Sempre di cose umane si tratta.

Se osassi, vorrei chiudere aggiungendo che tra Cielo e Terra c’erano una volta, e ci sono ancora, più cose….

Massì che oso!

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Nutrizionista

Mangiando S’impara per anziani

Il bicchiere mezzo pieno

Una premessa. Io faccio parte della confraternita del bicchiere mezzo pieno. Se un pezzettino di mondo mi casca addosso tendo di smussarne gli angoli, smorzare il fastidio e leccarmi i graffi, se ci arrivo.

L’inverno del mio scontento

Capita a tutti un periodo grigio e dunque anche a me. Il mio, fortunatamente, era

illuminato da due amorosi pargoli.

Quando cominciarono ad andare all’asilo, e poi alle elementari, le giornate parevano un labirinto senza uscita.

Conoscevo la storia di Robinson Crusoe, ma la spinta decisiva me la diede la lettura di Walden.

Fu cosi che, da casalinga per causa di forza maggiore, m’inventai un’esistenza alla maniera del Thoreau. Però scelsi una romantica palafitta in un’isola disabitata. Ovviamente i pargoli stavano con me.

Erano gli anni 76/77. Chissà quanti, prima e dopo di me hanno rifugiato il loro malvivere in oasi pacifiche simili alla mia?

La sapeva lunga chi congegnò quelle burlesche, inadeguate, ‘Isole del tesoro!!!

Partiamo dall’ape e dal fiore

Nel senso alimentare, ovvio.

I primi tempi del nostro soggiorno furono piuttosto primitivi.

L’alimentazione si basava sul misero orticello che avevo organizzato: agli, cipolle, pomodori, zucchine e radicchi, oltre ai malcapitati pesciolini che s’avventuravano sulla spiaggia. E dieci libri da leggere e rileggere a sfinimento.

L’affiliazione di qualche pappagallo non fu sufficente Ricorsi ad un compromesso con la civiltà.

Ogni mese dovevano arrivare, mittente non specificato, dieci tipi di alimenti e 5 libri.

Già che c’ero chiesi delle scatolette di fiammeri e l’adozione di un cane, un gatto, qualche gallina.

Elenco dei cibi

Dei libri selezionati scriverò in altra occasione.

Ecco l’elenco dei cibi, confortati dai prodotti dell’orto, da uova di galline che feci morire di vecchiaia, dall’acqua di un ruscello e da qualche pesce suicida:

-farina, olio, formaggio grana, latte, patate, riso, fagioli, limoni, zucchero cacao

Tanta roba! Una pacchia.

I miei figli non hanno mai saputo, almeno finora, di aver abitato con me in quel lontano rifugio. Traslocai in un luogo permeato di sogni più ravvicinati, ma ancora ci penso e rido mentre trufolo in cucina.

Torniamo all’oggi

il mio pranzo ideale è composto da qualche aperisfizio, un primo, dolcetto a chiusura.

Per le feste luculliane oso eccezionali piatti unici, come gli ossibuchi col risotto del Veronelli, la paella che ho visto realizzare sulla Costa Brava, il cus cus da esposizione e chi più ne ha più ne metta.

Gli aperisfizi

Pierre Buffet, cuoco di Francesco, viaggiava con un mobile che si apriva al momento di servire le vivande al re, creando quell’esposizione di cibi pronti che conosciamo.

Da lui nacque anche l’abitudine di chiamare buffet la credenza della sale da pranzo

Gli stuzzichini

Solitamente trattasi di 3-fettine-3 di pane splamate col pesto, e non solo di basilico; oppure con dei pezzettini di pomodoro ben conditi o magari dei crackers con frazioni di grana o pecorino, un pomodorino secco, tre olive. Più raro, ma vi capita una cucchiata rasa di paté di fegatini.

Per non abbondare con gli adorati trogoletti mi affido agli indimenticati duelli intestinali, con conseguenti, panciute, pacificazioni.

Sua maesta il Primo

E qui regnano indisturbati la pasta, il riso, la polenta (quella precotta).

A proposito di polenta. Non l’avevo inserita nella dieta isolana perché non esisteva ancora quella precolta. L’avrei messa al posto di… Non lo so di cosa ed è inutile star lì a pensarci.

Provate a riempirla con dei formaggi, anche quelli in stallo nel frigorifero, e poi versate il bollente composto in una ciotola. Aspettate un minutino o due prima di rovesciare la cupoletta sopra una pomarola profumata.

Una cucchiata sopra, una sotto….

Campanilismo in cucina

Intanto che me la gusto mi chiedo cosa s’inventerebbero quegli chef simpatici o boriosi che si affacciano dai programmi culinari televisivi se Colombo e il Vespucci fossero rimasti a casa.

Come potremmo preparare un decente menu settimanale senza usare pomodori peperoni peperoncini patate, farina di mais? E che cosa sarebbe la pasta senza un buon sugo di pomodoro? E la pizza? Per non parlare delle cacao.

Ci rendiamo conto, sì?

Star della tivvù

L’alimentazione è diventata una star di prima grandezza grazie alle colorate kermesse della tivvù. Alcune mi annoiano, altre m’intrigano, ma devo confessare che ho imparato ad insaporire le glorie nostrane spaziando su quelle altrui.

Qualche esempio?

Oggi uso ingredienti che prima trascuravo. Lo zenzero, per esempio, ed il curry, la curcuma, il miele con l’aceto di riso Mescolati alle solite ricette, con un occhio alle affinità e l’altro al buon senso (senza diventare strabici), sanno rendere assai gustosa l’alimentazione giornaliera.

Ultimo, ma non ultimo

Con i piatti salati me la cavo, più o meno, ma i dolci, ahiahiahi! Sarà perché bisogna essere precisini?

Non nego i pastrocchi che m’invento in due balletti con farina, uova, latte, olio, yougurt zucchero, tutto in dosi q.b. E neppure rinnego la cheesecake che porto quando mi invitano alle cene. La compongo con formaggio spalmabile (molta ricotta, poco mascarpone) e yogurt bianco, sempre quanto basta. I biscotti della base sono a piacere, purché siano ben sbriciolati insieme al burro. La preparo in versione estiva, senza l’uovo, perché è più fresca, leggera, e non va in forno.

Lo sfizio sta nel decorarne la superficie. Qualche fragolina, pezzetti di ananas, fettine di agrumi e l’immancabile menta.

Il fuoriclasse

Nelle cene conviviali, da noi in Toscana, si usano spesso i biscotti di Prato col vinsanto. Questo per coloro che hanno tutti i denti al loro posto

Io, se posso scegliere preferisco la zuppa inglese. Tutti gli altri dolci vengono a distanza di parecchie incollature, per usare un linguaggio da concorso ippico. Mi è stato riferito che si può fare anche con budini e savoiardi. Ho provato. Mah!

E per finire

La felicità è uno sprazzo di luce, la serenità è una giornata di sole.

Chi l’ha detto? E che ne so!

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Curiosità

Talenti nella terza e quarta età

È dimostrato che le persone si possono distinguere in molti modi. Uno di questi e il loro talento.

O senti l’Orsina che naviga ancora sui talenti, direte voi.

Il fatto è che qualsiasi manifestazione proviene dal bisogno di condividere qualcosa di sé con gli altri, anche se non sempre ne siamo consapevoli.

Oggi voglio inoltrarmi in due forme di talento. L’oratoria e la scrittura.

Andiamo agli antefatti

Ho sempre ammirato le persone che sanno mantenere una conversazione.

Io posso dialogare decentemente con due/tre familiari, o amici, per volta. Ma come sale il numero della compagnia, scema la mia capacità di sensata partecipazione.

Qualunque sia la circostanza, resto zitta e mutola, il sorriso scipito e anchilosato.

E peggio è quando m’impunto di cavarmi d’impaccio con qualche banalissima ‘frase fatta’. O magari attacco a parlare dei fatti miei con il ritmo di una mitragliata, quasi sempre fuori contesto e ragione.

Mi vengono fuori delle strampalagginisimili a questa, e non ci rinuncio anche se faccio uggia a me stessa, figuriamoci agli altri.

‘Se avessi saputo non avrei venuto,’ diceva un monello in un vecchio film.

Quando ci torno sopra con solitario flagello, posso solo compatirmi o ridere o tutte e due le cose insieme.

Nessuno è perfetto. O no?

Ho condotto per anni queste revisioni notturne.

‘E perché hai detto così? Avrà pensato che volessi offenderlo/a? Che scimunita sei!’

Tuttavia, non credo che stia meglio di me chi non ha l’abitudine di analizzare il proprio comportamento. Chissà la poltiglia che si tirano dietro! O non si sa che è sempre sbagliato il momento scelto per franare sull’autostima?

Secondo me le ricorrenti fustigazioni, date con mano leggera, fanno meno male.

Tutto giusto, a parole, però una sera ho detto basta. A che serve la fustigazione sulla collezione di figurucce, sapendo che la volta successiva ricomincio daccapo?

Mi voglio bene, mi sono affezionata a questo essere di cui ho l’esclusiva

E poi nessuno è perfetto. Perché dovrei esserlo io? A giudicare dagli esempi, sembra piuttosto faticosa, la perfezione. E pure nefasta, dai risultati.

Il periodo dell’esposizione

Malgrado queste considerazioni, continuavo ad ostinarmi nell’organizzare cene con gli amici e persino con qualche conoscente o giù di lì, in specie nel periodo ‘teatrale’. E menomale che potevo contare su amiche portate alla convivialità, altrimenti sai che barba si facevano, tutti quanti!

Ancora non so spiegarmi la ragione di quelle serate, da parte di una disorganizzata come me, e pure in cucina. Quando il lasciapassare sociale è scaduto, sono tornata con sollievo a secondare i miei interessi e i miei bisogni senza far clamore.

Ho ridotto le amicizie ai minimi termini e svicolo dagli impegni che costano fatica, anche se quando me li concedo ne esco stimolata.

È finito così quel periodo che chiamerei ‘da esposizione’. Nell’età della pensione l’ossatura chiede sostegno, riposo e coccole per durare a lungo.

L’oratoria

A questo punto ho dimostrato che non sono, né mai sarò, un’oratrice, né un’attrice. Posso solo dissertare, dal mio punto di vista, su ciò che non accomuna l’oratoria e la scrittura, sebbene sembrino, e forse sono, le facce della stessa medaglia.

Non sarò certo io a negare le difficoltà di esporsi davanti agli estranei. Anzi!

L’errore non ha rimedio. Ciò che è detto è detto ed a poco serve il ricorso alle gestualità del corpo, alle espressioni del viso. Che inciampo spaventoso dimenticare qualche brano del fervorino, del tema delconvegno, di un copione!

E tossire o starnutire? E se il pubblico non applaude?

Altro che il biasimo per le mie scene mute a tavola!

La giornata dello scrivano

La scrittura non chiede il consumo di corde vocali e di movimenti corporali. È sufficiente un minimo corredo di oggetti e l’uso delle mani.

Anche del cervello, ovvio, ma quello serve a tutti, più o meno.

Nel mestiere dello scrivano c’è tutto l’agio di mascherare le insicurezze con l’ironia. Ti affacci sopra una kermesse di personaggi scombinati per combinarli con frammenti d’essere che hai incontrato, conosciuto, immaginato, perduto. E intanto ti confessi, e non come avviene davanti al prete, ma per simboli sparsi, sogni ad occhi chiusi e aperti, come si fa dallo psicoterapeuta.

Detto questo, dove avrei potuto rifugiarmi, se non esistesse la scrittura?

È andata così fin dall’adolescenza. Ma questa è un altra storia.

Ferrea a chi?

Quando sono presa dalla scrittura dimentico di fare la spesa, telefonare, perfino mangiare, se la stomaco non reclamasse le sue ragioni.

Ho tentato più volte di applicare una ferrea disciplina ad orari e competenze. Ferrea… Ma va’. Diciamo che spartire il tempo tra le necessità del vivere e dello scrivere è utile per fare la ‘posata.’ Un giudizio fresco consente, giorno dopo giorno, di rileggere, tagliare, aggiungere, aggiustare la creatura imperfetta fino a portarla alla prima stesura. Riposerà in un cassetto e nel file sapendo che mai rinuncio al lusso, simile ad un vizio, di apportare successive correzioni sulle controfigure multiple che sono in attesa. Qualcuna mi saluta, festosa; altre, impermalite, corrispondono al mio nterrogatorio sbavando giustificazioni: io sono un prototipo. Rivolgiti all’autore. Dovreste far comunella.

Hai voglia di minaccare gli spiritosi che piglio la scopa e li ramazzo fuori dalla storia! Tanto lo sanno che saranno raccatti, ripuliti e pure lisciati.

Le irragionevoli ragioni

Qualche volta mi pare che un suggeritore lanci da chissadove frasi di senso compiuto, come fossero caselle di un puzzle sparpagliato. Ame, tapina, resta l’onere di sistemare ognitassellonella sua collocazione.

Ecco perché condivido questa affermazione di Nietzsche:”Viviamo nella presunzione di pensare, mentre è possibile che noi veniamo pensati.”Da chi, direte voi. E che ne so, io?. Certo è che questi pensieri hanno un gran fretta. Bisogna correrre a trascriverli per non disperderli.Capita che non sia facile inserire questi volatili ragionamenti, irragionevoli fino a quando trovano il contesto adeguato.Però è un esercizio parecchio stimolante.

Pensieri al pascolo

Alcuni appunti, raccolti in corsa su foglietti vaganti, non trovano impiego e restano in giro per decenni. Quando li ritrovo mi accorgo che la via d’approccio per utilizzarli potrebbe essere un rebus, oppure una scrittura astratta.

Un esempio?

-Dante e il suo alleato l’hanno pensata bella

-x i quanti esiste ciò che è veduto i ciechi nisba

-domani pago enel sennò staccano

-tempi accesi d’amore xxxxx dall’eterno ritorno

-latte pane dalla Sabrina che son + boni

-a far mercato del magma di verità e bufale.

Ho aggiunto solo le barrette all’inizio. Per il resto ho ripetuto quello che sta scritto nel primo biglietto che è capitato sottomano, con le stesse sospensioni delle x e la mancata punteggiatura. E non avete visto le posizioni delle frasi, sparse qua e là, sopra e sotto, usando biro di diversi colori.

Mi accorgo che sembra uno di quei giochini birbi dell’adolescanza. Ricordate le pagine ripiegate per nascondere ciò che è stato scritto da qualcun altro?

Abbandoni catatonici

Le bufere dell’oggi mi trovano col cervello intontito quando sfilano davanti al tavolino della cena. Zappetto tra i canali tivvù evitando scene da incubo e saghe sentimentalifere sulle brughiere inglesi rivisitate da cineasti alemanni. I salvanottesono film o fiction che consentono un veloce abbandono ad uno ‘svenimento’, o una ‘colica di sonno’, come mio cugino chiamava i miei sonni improvvisi, durante conversazioni familiari sul far dell’alba.

Se scelgo di leggere un libro posso dire addio alle 5-6 ore di pisolo canonico. Vero che interrompo la lettura quando voglio, ma è difficile isolarsi con Morfeo quando hai voglia disofisticaresull’immaginario altrui.

Un consiglio per i miei coetanei della terza e quarta età.

Non vi manchi un futuro che assolva le doti trascurate, date aria agli estri tuttora inoperanti, risvegliate quelli dormienti, raccogliete i dispersi.

In fin dei conti, tralasciando gli amori vissuti, gli affetti sopravvissuti, di noi resta ciò che siamo nati per essere, per diventare. Il fare è una conseguenza asservita alle circostanze, l’essere solo a se stesso.

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Curiosità

Le Magie disturbate di Disney

Tre generazioni sono cresciute con le magie di Disney.

La nostra fantasia si è nutrita con i film della sua casa di produzione. Ci siamo emozionati con le storie dei suoi personaggi, abbiamo riso e pianto alle loro disavventure.

I nostri genitori ci hanno accompagnato a vedere i primi cartoni animati della saga disneyana (Bambi, Cenerentola, Biancaneve ed i sette nani, Alice…). Noi vi abbiamo portato figli e nipoti, contenti di ritrovare scene rimaste memorabili e di vedere i film di produzione più recente.

Disney ed i disturbi mentali dei suoi personaggi

Psicologi, psichiatri e antropologi si sono chiesti se la casa cinematografica Disney abbia scelto intenzionalmente di diffondere messaggi emblematici attraverso il comportamento dei personaggi scelti per i film di sua produzione.

Esistono teorie che ruotano intorno alla tendenza del cinema disneyano di rappresentare alcune patologie della psiche umana.

Fiabe ispiratrici

Come accade nelle fiabe che li hanno ispirati, i protagonisti di questi adattamenti cinematografici espongono evidenti rappresentazioni di alcuni disturbi mentali.

Simili riferimenti si trovano in tutte le classiche storie per l’infanzia, da quelle scritte dai fratelli Grimm a quelle di Perrault e di altri autori per bambini, italiani o stranieri, che hanno ispirato film prodotti dalla la compagnia cinematografica di Walt Disney.

I personaggi disneyani

Alcuni psichiatri hnno battezzato alcune patologie psichiche facendo riferimento al comportamento dei protagonisti di molti cartoni animati disneyani.

E allora, vediamo di analizzare cosa si nasconde, secondo gli esperti della psiche umana, dietro le coloratissime, attraenti facciate di questi film.

Sindrome di Alice E Todd

Alcuni mettono in relazione i protagonisti di ‘Alice nel paese delle meraviglie’ con la sindrome di Todd, a causa della relazione tra i sintomi di questa malattia e le strane esperienze della protagonista.

La sindrome di Todd si riferisce alle allucinazioni visive come distorsione di dimensioni, forme, colori e persino con la presenza di più immagini come sintomo principale .

Nel film possiamo cogliere la micropsia e la macropsia, due disturbi neurologici che influenzano la percezione di Alice nel vedere gli oggetti più piccoli o più grandi del normale.

Il Coniglio Bianco di Alice

Secondo questa visione neurologica, il coniglio bianco che in ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’ appare con l’orologio tra le mani e l’ansietà negli occhi, soffrirebbe di un disturbo d’ansia generalizzato. Si tratta di una sindrome che porta all’esaurimento nervoso ed alla difficoltà di addormentarsi a causa della tensioni provocate dalla preoccupazione per i compiti quotidiani. Le persone soggette a questo disturbo possono soffrire anche di movimenti nervosi, involontari, come accade in chi soffre del disturbo di Tourette.

Sindrome di Ariel e Diogene

Le persone colpite dalla sindrome di Diogene tendono ad isolarsi in casa e ad accumulare oggetti di ogni genere. Per loro sarebbe quasi un sacrilegio gettarli via. Questa è una tipologia che di solito colpisce gli anziani.

Nel film ‘La Sirenetta’, Ariel è una giovane sirena che sogna di diventare un essere umano. Il suo passatempo preferito consiste nel raccogliere gli oggetti caduti dalle navi, per conservarli come un grande tesoro, proprio come fanno i pazienti con la sindrome di Diogene.

IL Ccomplesso di Bambi

Vogliamo parlare di Bambi, il protagonista di uno dei primi lungometraggi di Disney?

L’innocente cerbiattino ha dato il nome ad una sindrome che caratterizza persone sensibili, sentimentali e compassionevoli verso gli animali e, in genere, tutta la natura. Essendo iperprotettivi, amano prendersi cura dell’ambiente e sono ostili alle persone che compiono azioni dannose per il nostro pianeta.

La Bella e la Bestia – Sindrome di Stoccolma

La Sindrome di Stoccolma è una reazione psicologica in cui la vittima di un rapimento sviluppa un legame con la persona che la tiene prigioniera. In molti casi anche il rapitore prova dei sentimenti nei confronti della sua vittima, proprio come accade nel film ‘La Bella e la Bestia.’

Bella è una giovane donna che va alla ricerca del padre. Quando lo ritrova imprigionato nella casa di un uomo con il volto di bestia, si propone come scambio per liberarlo. Questa convivenza tra la bella e la besta li porterà ad innamorarsi.

Biancaneve e Narciso

In questo film la matrigna di Biancaneve rappresenta quel disturbo della personalità chiamato narcisismo, perché provoca un grande bisogno di essere ammirati.

Narciso era un bellissimo giovane che passava il tempo a rimirarsi nell’acqua, fino ad affogare nell’atto di baciare se stesso. La matrigna di Biancaneve usa uno specchio per assicurarsi di essere la più bella del reame e quando apprende che Biancaneve è diventata più bella di lei, la gelosia la spinge a tentare di ucciderla.

Sindrome di Peter Pan

Questo giovane impenitente ha dato il suo nome ad una sindrome che porta al rifiuto di diventare adulti.

Peter Pan è un orfano che preferisce vivere a Neverland, l’Isola che non cè, insieme ad un gruppo di bambini senza famiglia, proprio come lui. Tuttavia, sotto la sua maschera spavalda si nasconde la paura di misurarsi con la vita. Infatti, i pazienti affetti da questo disturbo non sono in grado di accettare il passaggio dall’infanzia all’età adulta.

Capitan Uncino

Hook, il personaggio conosciuto da noi come capitan Uncino, soffre di stress post-traumatico da quando la sua mano è stata mangiata da un coccodrillo. Questa sindrome porta ad essere perseguitati da ricordi disturbanti, portandoli a combattere l’ansia con l’iperattività.

La sindrome di Wendy

Non dobbiamo dimenticare un altro personaggio di Neverland. Wendy è la ragazza che ha seguito Peter Pan. Interpretando il ruolo di madre dei bambini perduti ha dato il nome alla sindrome di Wendy che è associata a quelle donne che amano esercitare il ruolo di madre.

Frozen E L’Agorafobia

L’agorafobia è il timore ossessivo di spazi aperti.

Elsa, la protagonista di Frozen, è affetta da questo disturbo dopo aver subito dei traumi a causa delle terribile esperienze subite durante la sua infanzia. All’inizio del film la giovane principessa perde i genitori in mare e sta per perdere anche la sorellina. Per questo motivo si è chiusa in sé e non vuole vedere nessuno.

Aladino e Jafar

Nel film basato sulla storia di Aladino, Jafar, il personaggio malvagio, rappresenta un sociopatico che soffre di disturbo antisociale della personalità. Coloro che sono affetti da questa malattia non sanno adattarsi alle norme sociali prestabilite.

La Bella Addormentata – Sindrome di KLENE-LEVIN

La sindrome di Klene-Levin è un raro disturbo neurologico, caratterizzato da lunghi periodi letargici. In questa fase vi è la possibilità di disturbi comportamentali e di amnesie che possono durare per settimane o mesi.

Aurora, la protagonista del film ‘La bella addormentata’, può rappresentare la sindrome di Klene-Levin. Cresciuta nella foresta grazie a tre fatine, un giorno si punge una mano per volere di Malefica, una fata cattiva. Da allora cade in un sonno profondo dal quale può risvegliarla solo un bacio di vero amore.

Cenerentola

In questo film si possono riscontrare varie patologie della psiche. La prima prende il nome dalla protagonista. Il complesso di Cenerentola è considerato una sindrome della personalità da dipendenza. sebbene non faccia parte dei disturbi neurologici accettati dall’OMS.

Solitamente, la sindrome di Cenerentola si verifica nelle donne che hanno idealizzato l’immagine maschile come il principe azzurro della fiaba di Perrault. Tendono a dipendere dal partner, con conseguente paura della separazione, e quando non corrisponde all’ideale che avevano immaginatoprovanouna grandissima frustrazione.

Il principe azzurro

La Prosopagnosia è una malattia neurodegenerativa che consiste nell’incapacità di riconoscere i volti delle persone. È una forma di agnosia visiva che colpisce il 2,5% della popolazione.

Dopo aver ballato con il Principe azzurro, Cenerentola fugge dalla reggia perdendo la scarpetta di cristallo. Il principe decide di provarla su tutte le fanciulle del paese e quando arriva davanti a Cenerentola la riconosce solo perché può indossare la scarpa che aveva perduto.

Pinocchio e le Bugie

La sindrome di Pinocchio consiste nel bisogno di mentire.

Al burattino di legno, ideato da Collodi, si allunga il naso ogni volta che dice una bugia.

Nella realtà non cresce il naso quando diciamo delle bugie, però può capitare che il nostro viso diventi rosso perché subiamo un aumento della temperatura corporea.

Pocahontas e la Sinestesia

La sinestesia è quella caratteristica umana che porta ad associare uno stimolo ad un senso diverso da quello da cui proviene. I pazienti con questa qualità affermano di vedere suoni, sentire colori o scoprire dei colori nel vento.

Quando Pocahontas insegna a John Smith le tradizioni della tribù native d’America, gli canta una canzone che descrive i colori del vento.

Rapunzel e il Disturbo Bipolare

Il disturbo bipolare è una malattia mentale che consiste in improvvisi cambiamenti di umore. Il paziente può essere sollecitato da sentimenti opposti, a breve distanza di tempo gli uni dagli altri.

Rapunzel, la protagonista del film Disney dai capelli immensamente lunghi, vive in cima ad una torre, dove è stata rinchiusa dalla sua presunta madre. Un giorno passa sotto la torre un giovane ladro che la incoraggia a lasciare la casa. Piena di curiosità, accetta di uscire, contenta di essere finalmente libera, ma una volta fuori, è in pena per il rimorso di aver disobbedito alla madre.

Winnie the Pooh

Anche i personaggi di Winnie The Pooh sono correlati ad alcune sindromi.

Winnie the Bear, per esempio, può essere associato ad un disturbo da alimentazione incontrollata, a causa della sua eccessiva golosità per il miele. Questa patologia porta a privilegiare determinati alimenti, mangiandone in quantità eccessive. I pazienti affetti dal disturbo da abbuffate compulsive sono spesso in sovrappeso, proprio come l’orsetto Winnie.

Pimpi

Pimpi il porcelletto, uno degli amici di Winnie, è sempre nervoso e preoccupato, imprigionato da una continua tensione. Anche lui soffre di ansia generalizzata, proprio come il Coniglio bianco di Alice nel Paese delle Meraviglie.

Tigro

È questo un altro amico di Winnie. Simpatico, leale, esuberante, è convinto di poter saltellare come fanno i canguri.

Questo personaggio potrebbe riferirsi al disturbo da deficit di attenzione (ADHD), una patologia caratterizzata da iperattività e problemi di concentrazione che portano a ripetere sempre gli stessi errori.

Ih Oh

L’asino amico di Winnie che perde costantemente la coda, si può configurare come affetto da depressione e pessimismo, che crede di scansare dormendo gran parte della giornata.

Quando è sveglio vaga avanti e indietro con espressione cupa e preoccupata.

Tappo

Nella serie di Winnie The Pooh, il coniglio Tappo passa tutto il suo tempo ad occuparsi del giardino, per mantenerlo costantemente curato e pulito.

Questo personaggio può essere correlato ad un disturbo ossessivo compulsivo (DOC).

I pazienti che ne soffrono possono diventare ossessionati da idee o atti specifici, ripetuti senza misura.

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Curiosità

La Cantatina dell’oca persa – Fiabe anziani

Festa grande sl castello de’ Ricci. Cavalieri, dame e donzelle, ben apparecchiati e lustri di ori e di gemme, passeggiano nelle sale e pei cortili e lungo le gallerie del castello, conversando amabilmente di questo e di quello.

È festa perché la bella principessa Rosa dé Ricci va in sposa al giovane principe Lisandro dé Lisci.

Sono liete le madri ed i padri dei due giovani e lieti sono i sudditi nel cantare e danzare perché Rosa va sposa e di questo matrimonio sono tutti contenti.

Tutti, o c’è un’eccezione? O che regola è se non c’è l’eccezione?

Andiamo a vedere cosa sta succedendo giù nelle cucine, dove i cuochi di casa dovrebbero lavorare a gomito ed armonia con quelli giunti al seguito dello sposo.

Accade che le due squadre di cucinieri si fronteggiano armati di padelle. La causa del trambusto è una povera oca che attende il suo destino sul banco di lavoro. Dovrà finire in pentola e poi in tavola, adorna di arance e limoni? O di prugne e pinoli?

-Prugne per guarnire l’oca, villani!

-Arance per accompagnare l’oca, bifolchi!

La pugna è immanente e imminente.

-Arance o battaglia!

-Prugne o battaglia!

E battaglia sia! Son pronti a guerreggiare i bellicosi cucinieri, agitando mestoli, ramazze e matterelli. Tum tututum, bam bam!!!

La grande cucina e la dispensa risuonano dei rumori della zuffa, inconsueti in un luogo più consono alla zuppa.

Noi si sa che l’oca è un animale paziente, molto paziente, e non è di gusti difficili. Per lei, arance o prugne, limoni o pinoli, tutto fa brodo, o meglio, tutto fa arrosto. Si è messa comoda nell’attesa che quei forsennati si ricordino che il loro mestiere è quello di portare in tavola la loro arte come strumento di concordia, e non di discordia. Quasi quasi si farebbe un sonnello quando, si dice la combinazione, da sotto al tavolo le arrivano le note di una canzone accompagnata da una voce in falsetto.

Penzoloni sul bordo del banco vede uno dei garzoni di casa che approfitta della rissa per scolarsi un boccale di Trebbiolo. È un bel ragazzo col ciuffo biondo e l’oca se ne innamora, anche perché la canzone è dedicata a lei.

A lei? Una serenata? Mai successo prima.

Sentiamo cosa propone la canzone del garzone ubriacone

-Questa è la cantatina dell’oca muta in attesa di far la sua figura. Batti la carne o scalco, batti con cura, ch’io risulti morbida e sfiziosa, con fiocchi e nastri più vezzosa, lustrami con gelatina odorosa ch’io sia bella quanto la sposa.

L’oca sospira. Quel romantico giovine ha colpito il suo cuore ed ella è ancora lì, pendula e sognante, quando due dei litiganti l’afferrano, uno per le zampe, l’altro per il collo e se la contendono come fosse un trofeo:

-Arance e limoni!

-Prugne e pinoli!

Lipperlì, contesa da tanti nerboruti giovani, lei si sente come Venere emergente dalle acque. E chi la tira di qua, e chi la tira di là, l’oca che si è fatta ammorbidire dall’amore e dalla vanità scivola dalle mani dei contendenti e come una freccia di Cupido se ne esce dalla finestra verso lidi meno lusinghieri ma più salutari.

Orrore! L’oca è fuggita! E ora? I cuochi delle due fazioni si guardano di sottecchi, col fare di monelli che hanno appena compiuto una grossa marachella, anzi, una maracona.

È l’ora di trovarsi solidali. Un breve dibattito li mette d’accordo. Lesti lavorano verdure, carote, patate dolci. Le lessano, le mischiano, le frullano, le rimpolpettano con uova e farina e cacio in abbondanza. Ed ecco pronta una bell’oca fatta e rifinita, con zampe, becco ed ali ben disegnate.

Un capolavoro, ecco cos’è. E allora, quelli che volevano prugne e pinoli sistemano in letizia arance e limoni, mentre gli altri prugnano e pinolano che è un piacere. E via in cottura. Bevuti come sono gli ospiti, si rassicurano a vicenda, manco si accogano della differenza, quelli di sopra. Magari troveranno la ricetta saporita, originale. Qui ci vuole un nome ad effetto…

Son lì a ponzare nomi quand’ecco uscire, da sotto al tavolo, la voce del garzone ubriacone che propone una nuova versione della sua canzone.

-Questa è la cantatina dell’oca persa che s’è involata e non compare in mensa. Rustica resta e meno melensa senza li trucchi per parer più densa.

-Ecco!

-Ecco?

-Ma si, sarà “L’oca persa.”

Ci crederete se ve lo dico? Io lo dico comunque.

Quando il vassoio è bell’é sistemato e guarnito, i cuochi delle due fazioni si stringono la mano soddisfatti e fissano per dopopranzo una partitina amichevole.

L’oca persa ha fatto un figurone, anche perché, diciamolo, nessuno vuole assumersi la responsabilità di criticare quell’oca di verdura, sapendo di dispiacere agli ospiti. Non sia mai che un litigio tra le due famiglie riporti i novelli sposi alle rispettive magioni.

Il via agli osanna lo dà un signore assai stimato per la raffinatezza del palato e la vocazione alla diplomazia.

-Ma che arrroma orrriginale!

-Stupendo! – grida allora la madre del pricipe. – Voglio, assolutamente voglio, questa ricetta, cara consuocera. I nostri cuochi hanno così poca inventiva…

-Devo dire – risponde la padrona di casa con sussiego – che io esigo dal mio chef la massima cura e immaginazione. Non sopporto piatti spiattelati senza garbo.

Com’è giusto che sia in questi casi, la nostra storia si avvia al lieto fine.

I cuochi furono lodati e premiati e la nostra oca è tornata a razzolare insieme alle compagne. Ha raccontato di quanti giovani la volevano per sé e della serenata del bel garzone dal ciuffo biondo. Insomma, blatera di qui, blatera di là, da quando è innamorata non è più idonea a fare l’oca muta. E poi, anche volendo riproporsi la ventura, quando arriva il cuciniere le più vanitose si precipitano, facendosi lo sgambetto a vicenda.

-Tocca a me!

-No! A me!

E il povero garzone ubriacone? Aveva bevuto troppo e si levò la mattina dopo col mal di testa.

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Salute

La persona anziana in piena facoltà mentale

Se il vostro familiare più anziano ha qualche problema di salute, ma gode del pieno potere sulle sue facoltà mentali, è giusto che sia lui a decidere dove vuole invecchiare.

Quando la questione è stata sollevata, potrete dialogare insieme sul suo futuro, esprimere la vostra opinione, ma anche lasciarvi coinvolgere attivamente nelle sue decisioni.

È normale che abbia qualche remora a cambiare casa e consuetudini. Se volesse continuare a vivere nella sua abitazione potrebbe essere necessario prendere in esame la possibilità di un aiuto.

La persona anziana ha una patologia cognitiva

Se l’anziano soffre di una malattia che influisce sul suo funzionamento mentale è un importante punto di forza la presenza di un caregiver per garantirgli l’assistenza e le cure necessarie. In mancanza di questa figura familiare, dovrete ricorrere al supporto di una terza persona che stia al suo fianco in caso di emergenza. In questo caso dovrete spiegare al paziente le ragioni di questa decisione, presa per salvaguardare la sua sicurezza. Dovrete fargli capire che questa persona lo sosterrà nell’affrontare le necessità giornaliere, ma non gli impedirà di conservare il suo spazio e le sue abitudini.

Autonomia e indipendenza

La solitudine può avere gravi conseguenze per la salute degli anziani. La presenza di una figura familiare o professionale può essere di aiuto anche per migliorare la qualità della sua vita. Poter parlare con qualcuno, scherzare, scambiare opinioni è la chiave per l’autostima.

Chi è delegato all’assistenza di una persona anziana deve impegnarsi perché mantenga o ritrovi, almeno in parte, le sue capacità motorie e mentali. Ecco perché è essenziale disporre di compagnia nella vecchiaia.

La persona anziana fisicamente e mentalmente attiva

Un anziano in buone condizioni di salute fisiche e mentali potrebbe distrarsi partecipando ad alcune attività domestiche. Per fargli passare il tempo sarebbe conveniente che chi lo segue nelle sue attivitàà quotidiane predisponga dei compiti che possano essere svolti dall’anziano senza creargli problemi. E nel frattempo, potrebbe divertirlo raccontando degli aneddoti, ascoltare le sue storie passate.

Accompagnamento

L’assistenza del caregiver è indispensabile per accompagnare la persona anziana agli appuntamenti

fissati con medici, dentisti e per altre commissioni, ma sarà necessario anche per fargli compagnia e garantire la sua sicurezza mentre compie la sua passeggiata.

Una volta che il paziente comprende i vantaggi di avere a disposizione questo utile sostegno, potrete discutere insieme sulla scelta del caregiver, consentendo un periodo di prova ad entrambi. La persona prescelta potrà ritirarsi se si sentisse a disagio oppure invasa dalle pretese dell’anziano di cui si deve occupare.

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Alimentazione per Anziani

Anziani che non possono comunicare

L’assitenza ad una persona anziana è più complicata quando ha perso le sue capacità cognitive.

Non potendo dialogare, occorre molta attenzione da parte degli altri membri della sua famiglia per provvedere ai bisogni che non riesce ad esprimere.

Dovrà essere introdotta una particolare modalità di relazione con il caregiver familiare o di chi ne fa le veci, per sopperire alla mancanza di comunicazione.

Esistono enti pubblici e privati in grado di provvedere il costante funzionamento di un servizio

che possa garantire la sicurezza, la salute ed il generale benessere del paziente.

Facilitare la comunicazione

Alcune azioni possono ostacolare la comunicazione con un anziano malato.

Vediamo quali comportamenti dobbiamo evitare se vogliamo che accetti le cure che sono necessarie alla sua salute.

La persona delegata dalla famiglia dovrebbero parlare apertamente con il paziente delle operazioni da effettuare per salvaguardare la sua salute, senza dimenticare di rispettarne le esigenze e lo spazio personale.

Un comportamento irritato o impositivo può causare una reazione insofferente. Per ottenere il suo rispetto e calmare l’agitazione occorre sempre evitare di trasmettergli ansia.

Imporre o minacciare il paziente

Il servizio di cura va presentato all’anziano in modo positivo, ragionevole. Imporgli le decisioni senza coinvolgerlo lo riporterebbe ad uno stadio infantile, rischiando di favorire il suo rifiuto.

È necessario mantenere la calma, in qualsiasi situazione. Atteggiamenti nervosi potrebbero procurare ansia, con conseguente difesa e comportamenti negativi.

Agire senza avvertire

Nel caso in cui si rendesse nccessaria l’assistenza di una figura professionale, estranea alla famiglia, è indispensabile che il paziente sia avvisato in precedenza. Una sorpresa che lo colga impreparato può causare il rifiuto di collaborazione.

Badanti e anziani: consigli per una corretta convivenza

Può capitare che il paziente sia riluttante ad accettare l’intervento di una persona sconosciuta.

La cosa migliore è consentire una preventiva conoscenza del candidato che la famiglia ha ritenuto idoneo per la sua assistenza.

Molti problemi di questo genere possono essere risolti facilmente se il paziente è stato informato con delicatezza dei cambiamenti che lo riguardano. Coinvolgerlo nelle decisioni che gli sono utili lo renderebbe più proponso a partecipare.

Si consiglia di introdurre gradualmente il nuovo assistente. I primi giorni potrebbe occuparsi solo di una parte delle incombenze che dovrà svolgere, e per un periodo di tempo breve, per abituare e rassicurare il paziente.

Con il passare dei giorni ed il proseguire della familiarità, si possono aumentare le ore di permanenza e le cure da applicare.

Sarebbe opportuno che questa nuova figura evitasse di svolgere quelle attività che il paziente può compiere da solo, laddove non ci siano problemi, oppure con una partecipazione ai compiti che ne preservino l’autonomia, alleggerendo il suo bisogno di assistenza.

Condividere le operazioni che riguardano la sua salute, può creare un buon rapporto tra il malato ed il suo assistente,

In questi casi sarebbe fondamentale rispettare i tempi necessari al paziente per svolgere determinate attività, evitando così lo stress e, di conseguenza, la perdita dell’autostima.

Per raggiungere un buon rapporto di collaborazione è indispensabile che l’assistente rispetti, dove sia possibile, la privacy del paziente.

Il bisogno di calcio nella terza età

Il calcio è il quarto componente più importante nel corpo umano, preceduto solo da acqua, proteine e grassi. Il contributo di questo minerale è indispensabile per mantenere le ossa sane e garantire numerose funzioni dell’organismo.

Assumerlo regolarmente è necessario in tutte le fasi della vita, ma dall’età di 50 anni tutti dovremmo aumentarne il consumo.

A maggior ragione dobbiamo controllare l’apporto giornaliero nell’organismo di una persona anziana, evitando l’insorgere di complicazioni nella trasmissione degli impulsi nervosi e scongiurare le contrazioni muscolari, la coagulazione del sangue, il battito cardiaco.

É essenziale che la dieta abituale sia sufficiente a coprire l’esigenza di calcio, specialmente per mantenere la salute in età avanzata. Altrimenti, dobbiamo aumentare la dose giornaliera, in modo da prevenire dolori alle ossa e malattie come l’osteoporosi.

Con l’invecchiamento l’assorbimento del calcio nell’intestino diminuisce di circa il 20%.

Ecco perché un adeguato apporto di calcio è indispensabile a qualsiasi età, ma lo è maggiomente per un anziano. Il suo organismo richiede un minor apporto di cibo, pertanto può capitare che la quantità necessaria di calcio non venga consumata.

Quindi, sarebbe necessario un apporto maggiore rispetto al precedente fabbisogno.

Bisogni e carenza di calcio

È importante sapere che se un corpo umano non riceve l’apporto di calcio necessario alle sue funzioni, prenderà ciò che gli serve dalle ossa, aumentando così il rischio di osteoporosi.

Occorre altresì tenere presente che la carenza di calcio può causare altri gravi disturbi, come crampi, dolori articolari, ritmo cardiaco anormale, deterioramento del cervello, convulsioni

Per evitare questi problemi è meglio prendere precauzioni, consumando il calcio di cui il nostro organismo ha bisogno attraverso il cibo o gli integratori.

Alimenti ricchi di calcio

Un anziano dovrebbe assumere una quantità giornaliera i calcio compresa tra i 1.000 e 1.200 grammi .

Il latte, lo yogurt ed il formaggio sono le principali fonti di calcio. Tuttavia, possiamo trovare questo

minerale in altri alimenti, oltre ai latticini,

Bere un bicchiere di latte può contribuire al consumo giornaliero di calcio, ma non è sufficiente. Per questo motivo è importante seguire una dieta che includa diversi alimenti ricchi di calcio.

Possiamo annoverarne molti cibi che contengano buone quantità di calcio.

Verdure:

cavolo

crescione

cipolla

bietola svizzera

broccoli

ed altre verdure

Gli anziani dovrebbero consumare anche i legumi.

fagioli bianchi

ceci

lenticchie

germogli di soia.

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Curiosità

Traslocare nella terza e quarta età

Prima di dare il via alle lamente sui traslochi ci vuole un cappello. Pure calze e camicie ci vorrebbero. E una bella metafora.

Capire a seguire.

La dispensa

Mi sono fissata su questa parola da quando un’amica aprì davanti a me una porta nella parete della sua cucina. All’interno vi era accatastato un miscuglio di riserve alimentari che rese misero e anche stupido il mio modo di comprare via via quello che serve per qualche giorno ed essere, poi, sempre sprovvista di qualcosa.

Ora lo so. Ognuno di noi è una dispensa. E pure le nostre case lo sono.

Il trasloco

Prima di ogni trasloco, la mia parola di battaglia è: selezionare.

Smisto per benino le categoria di ammennicoli dentro le casse e sopra scrivo cosa contengono. Porto i libri che non mi sono piaciuti laddove vi sia qualcuno disposto a leggerli ed elimino il superfluo che pigio in quei sacchi della nettezza grandoni e neroni, sicuramente i preferiti dagli ammazzasette per nascondervi cadaverici malloppi.

E com’è che mai funziona come avevo previsto?

L’ultimo

Dopo diverse traversie, l’ultimo ‘sgombero,’come si dice da noi, mi ha visto parecchio determinata, tipo sfida all’ok corral. Una serie di elenchi pre-preparati erano pronti a soccorrermi nel sistemare la nuova abitazione prima e meglio del solito.

E così è stato, ma senza strafare, ché certi scomparti del mio vivere non trovano tregua né loco che possa in qualche modo rendermi meno arrabattate le ricerche.

Disavventura

Una decina di neri involti era stata divisa dai traslocatori in due categorie: quelli contenenti la roba da buttare e quelli dove avevo messo gli oggetti che potevano stare all’aperto.

Abituato al nostro solitario duetto: lui Tarzan, io Jane, salvo qualche visita raminga, il mio gatto si fece spaventare dagli uomini nerboruti che sviaggiavano per casa. Hai voglia di cercarlo! Fui colta dal dubbio che si fosse nascosto in uno dei sacconi, ormai chiusi e portati, ben divisi, nell’androne del palazzo.

Scesi per tastarli e alcuni, sospetti, dovetti spostarli per poterli aprire.

Tarzan non c’era e mancò il tempo per tprnare a distinguere il bono dal pocobono. I camion erano già fuori dall’uscio, con enorme dispendio di voce dei soliti impazienti, a piedi e in auto.

Nel frattempo la belvetta si era dato alla macchia dalle terrazze del vicinato, Fortuna volle che trovasse il cibo da una simpatica gattara dei dintorni.

La parola alla difesa

Cos’altro potevo fare?

I traslocatori si arrabbiarono nel vedere che avevo scombinato il loro lavoro. Non capisco perché, visto che era mia la roba finita nell’immondizia.

Eppoi, ad una persona della terza e quarta età si può perdonare l’attaccamento al proprio gatto unico. O no?

Cose di casa

Raggiunto il nuovo domicilio, e siamo ancora al voi, c’è da posizionare il nostro carapace a rimorchio in ambienti diversi da quelli precedenti.

È questo un lavorio parecchio faticoso per una persona ‘nonpiùgiovane’.

Lo so bene, io. Che dico? Nessuno lo sa meglio di me.

Una casa ancora disordinata è difficile da gestire, in specie quelle dove sono state immagazzinate collezioni di aggeggi babbionici. E più difficile è barcamenarsi con gli equilibrismi, se le giunture pretendono di essere trattate con riguardo. Con molto riguardo.

Più facile inciampare in una delle casse, scatoloni, fagotti che ingombrano ogni angolo della nuova abitazione. Al mattino siamo ancora sonnacchiosi e dimentichi dei ridottissimi spazi di manovra; ila sera perché incombe il rincitrullimento, dopo una sfibrante giornata di lavoro. E magari ci sembra di non aver ‘compicciato’ nulla.

Ordine!

Massì, la soluzione ce l’avete voi, precisini di qualunque età e grado

Lo so anch’io come recita il proverbio: ‘Un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto.’ Figuriamoci. È una vita che ci provo.

Molte volte mi sono detta che devo imparare, non dico a dare un ordine alle dipendenze della mia vita, ma almeno a scegliere i loculi appropriati per ritrovarle, quando servono.

Non si butta via nulla

Sia chiaro: io non.sono una che spende denaro che non c’è nei generi extracibo. Eppoi, lo sanno tutti che sono restia a separarmi dalle mie cianfrusaglie.

O non si sa che il motto degli anziani è: ‘Non si butta via nulla.’

Per forza! Tutte le volte che l’ho fatto me ne sono pentita. Spendo giornate in cerca di oggetti che si rimpiattano per farmi dispetto o che hanno preso la via dell’uscio senza avvertirmi.

Misteri

Perse le cose buttate e quelle sparite per conto loro, il mio corredo dovrebbe alleggerirsi. Giusto?

Invece, resta sempre da accudire un immane rimescolio, malgrado l’assoluta certezza di aver raggruppato in settori specifici ciò che è utile, necessario, indispensabile, tenendo a vista lo scatolone degli oggetti d’uso immediato

Voi non mi crederete, ma vi assicuro che si nasconde un qualche mistero dietro le sparizioni di cose che mai si saprà dove son finite; e pure del rigurgito continuo, e dai posti più impensabili, di oggetti di cui avevo dimenticato l’esistenza.

Selezione

In teoria, dovrei portare con me solo ciò che è essenziale, ora che sono finite le incombenze che riempiono le giornate di una donna di famiglia o in carriera.

Va detto che sarebbe una lunga storia confessare ciò che si può ritenere irrinunciabile in un contesto solitario come il mio, ma pur sempre para civile,

Ecco perché è stato più volte imperativo creare un elenco per dividere le pertinenze.

Uno- Documenti più o meno economici, per non trovarsi nei guai

Due- Qui stagna la fucina dei cenci e degli arnesi necessari alla sopravvivenza

Tre- Il resto è roba assolutamente iindispensabile alla mia super-vivenza, inclusi i computer. Il più ‘maturo’ d’età è ancora il favorito, però non si sa mai.

La disfida

Il problema non deriva dal sistemare vestiti pentole e ricordi nei siti appropriati. E neppure dagli scritti degli amici di ciccia o penna o capitati in casamia per chissà quale caso, ma a cui non riesco a rinunciare.

É la conseguenza della traboccante marmaglia cartacea di una grafomane all’ottava potenza.

Cento, che dico, mille volte cento, ho provato ad affrontare i cumuli di carte piene o semi vuote di scrittura. Scartafacci quadernoni, quaderni, blocchetti, fogli d’ogni misura e forma e decine e più di inserti contenenti ciascuno varie copie d’ogni romanzo racconto copione poesia, il tutto scritto, riscritto, stracorretto e da ri-ricorreggere.

E poi biro e lapis e gomme e appuntalapis, il tutto di varia natura e specie, anche quelli da bambini, che in casamia li trovate dovunque, perfino davanti al cesso.

Questi e quelli

Ogni volta che accetto la contesa, mi sembra di masticare quelle fettine di carne filose e troppo dure da mandar giù. Sposto qualcosa a sinistra, qualcos’altro a destra e nel centro metto un altro gruppo. E poiché, come avviene in politica, tre postazioni non sono sufficienti, occupo ogni base d’appoggio che mi circonda fino a quando non ci capisco più nulla.

Ovvìa, una decina di foglietti li butto, ogni tanto, maserve a poco se trascrivo le frasi, sempre un po’ modificate e allungate, da qualche altra parte. Ciò che resta fa presto a ringonfiare, con gli appunti successivi.

Pandemonio

Lo so che una persona di normale ostinazione deve venirne a capo.

Io, dopo aver passato ore, inchiodata e polverosa, a smistare fagotti cartacei da una parte all’altra, cerco di radunarli alla bell’e meglio con l’antipatica sensazione di aver dimenticato qualcosa.

O forse solo di aver perso un mucchio di tempo.

Così mi aggrappo alla solita, diabolica, rassicurante frase: ‘Ci penserò domani.’

E a seguire: ‘Domani è un altro giorno.’

Tanto, come diceva Spencer, ‘Niente è perduto che non si possa ritrovar cercando.’

Bella, è?

Mi calza a fagiolo!